SPIATA (Racconto breve)

 

spiata

“Giò, mentre scendi, controlla se c’è posta!”, mi urla mia madre dal bagno.

“Dai mamma, tutte le mattine la stessa storia! Tanto non ci scrive mai nessuno e poi oggi vado di fretta, tra un’ora ho l’esame di biologia”, rispondo già sull’uscio.

“Tu guardaci lo stesso e ricordati la spazzatura!”.

“Che palle! Lei e la sua fissa per la posta”, bisbiglio.

“Guarda che ti ho sentita e me ne ricorderò quando sarai tu a chiedermi un favore”.

Ma come ha fatto? O è dotata di un udito sopraffino oppure mi conosce a tal punto da prevedere ogni mia reazione. Mah! I misteri delle madri.

“Va bene, va bene, però se arrivo in ritardo è colpa tua “, replico stizzita.

Afferro al volo il sacchetto dell’umido e mi precipito fuori prima che le venga in mente qualche altra richiesta. Non ho tempo per aspettare l’ascensore e poi io sono decisamente più veloce. Scendo i sei piani di scale a due gradini alla volta, raggiungo la cantina e lancio la spazzatura  nell’apposito bidone verde. Missione compiuta! Sono al portone quando mi ricordo della posta. Cavolo! Guardo l’ora: le otto e trenta. Esito, indecisa sul da farsi, ma la voce minacciosa di mia madre mi ronza nelle orecchie e così, come un automa che  può solo obbedire agli ordini, torno sui miei passi verso la cassetta delle lettere, sicura di trovarla, come sempre, vuota. Invece, con mia grande sorpresa, vedo sbuccare dalla fessura i lembi di una busta gialla. In realtà si tratta di un pacchetto e la destinataria sono proprio io. La curiosità è grande, ma lo è anche il ritardo e così infilo il piccolo involucro nello zaino e, in sella alla mia “Bianchina”, pedalo a tutta velocità ripassando a mente per l’esame.

Sono esausta e decisamente insoddisfatta del ventisette che quel pignolo, per non dire di peggio, e se lo meriterebbe,  del prof. Briotta mi ha appena rifilato, rovinandomi la media e la giornata.

“Ciao, come è andata? C’è posta?”, mi chiede mia madre ancora prima di vedermi affacciare in cucina.

“Ventisette”, rispondo senza commentare e poi aggiungo: “Niente nuove”, omettendo di dirle del pacchetto di cui mi ero anche scordata, ma che ora è di prioritaria importanza.

“Bene. Sbrigati che scolo la pasta!”.

Mi rifugio nella mia stanza decisa a scoprire di cosa si tratta.  All’interno del pacchetto c’è un cellulare bianco accompagnato da un foglio a quadretti dove, un anonimo, ha scritto: “Questo è il tuo telefonino, te l’ho rubato a casa tua due anni fa e ora te lo restituisco, non tanto perchè non sopporto di essere un ladro, ma perchè non sopporto più di essere uno spione”.  Sono basita.  Osservo il cellulare e lo riconosco, non mi ero accorta del furto perchè in realtà ero sicura che fosse infognato qui da qualche parte e poichè ne ho un altro, più moderno, non mi ero neanche presa la briga di cercarlo. Premo il tasto di accensione e il display si illumina, inserisco la password, che non ho mai cambiato, e magicamente compare la scritta: “Ciao Giorgia”.

“Allora! Vuoi venire a tavola che si fredda!, la chiamata stridula e inopportuna di mia madre mi costringe a interrompere sul più bello.

“Perchè quella faccia? Sembra che tu abbia appena visto un ufo. Non te la prendere, un ventisette è un ottimo voto e poi non puoi pretendere di prendere sempre trenta, nella vita non  va quasi mai come vorresti, dovrai abituartici”, cerca, a modo suo, di confortarmi.

Le lascio credere che sia quello il motivo del mio mutismo.

“Sì, hai ragione, in fondo non è la fine del mondo, mi rifarò”, rispondo abbozzando uno stitico sorriso. Continuo a pensare al cellulare.  Mangio in fretta e, con la scusa di un mal di testa improvviso, torno in camera mia.  Prendo il telefono da sotto il cuscino e comincio a scorrere tra i messaggi, le chat  e… Non è possibile! Tutte le mie conversazioni, le  foto, i video, anche quelli privatissimi scambiati con il mio ragazzo, sono lì, in bella vista a testimoniare che “lui” li ha visti e sa praticamente tutto di me. Sento freddo come se improvvisamente fossi nuda, sola nella stanza, esposta, mentre il mondo è fuori a guardarmi dal buco della serratura. Sono spiata.

Mi accascio sul bordo del letto, ancora stordita e incredula. Non riesco a riordinare i pensieri, la mente è offuscata, un tunnel buio. Ma ecco che un flash, dapprima debole, si fa via via più forte e illumina il ricordo del mio imbarazzo quando, qualche tempo fa, alcuni  amici, ma soprattutto mia madre,  mi mostrarono dei messaggi di mie conversazioni personali  nonchè di mie foto compromettenti, ricevute da uno sconosciuto che millantava di essere il solo a conoscere la “vera” Giorgia e con quelle immagini voleva mostrare a tutti che razza di brutta persona io fossi.  Anche sui social erano state pubblicate cose analoghe che avevano fatto parecchio discutere, sputtanandomi senza pietà. Per mesi sono stata bullizzata e mi sono scervellata per capire chi potesse essere l’artefice bastardo di un atto tanto meschino.  Avevo persino dubitato del mio ragazzo. Ora tutto è lapalissiano. Sei stato tu, stronzo! Ma perchè? Hai scritto che hai rubato il cellulare da casa mia, quindi eri o sei un amico. L’idea che tu possa essere, sotto mentite spoglie, ancora presente nella mia vita, mi fa sbarellare, prego tanto che non sia così. Dici di non sopportare più di essere uno spione però non chiedi scusa. Se lo avessi fatto forse avrei potuto perdonarti, invece sei solo un codardo senza faccia, ma ti giuro che prima o poi ti stanerò e me la pagherai. Sono furiosa e piango dalla rabbia.

“Tesoro, ti è passata l’emicrania?”. Mia madre entra senza preavviso e mi trova in lacrime, tento di nasconderle, ma lei, oltre al super udito, è dotata anche di una super vista. Non mi resta che raccontarle tutto. Mi aspetto un suo rimprovero per non aver sostituito la password oppure per non essere stata più selettiva negli amici che portavo a casa, insomma, cose di questo genere, invece niente. Mi guarda silenziosa, i suoi occhi straripano d’amore per me, si vede che è amareggiata ma nello stesso tempo mi trasmette forza e determinazione.

“Tu sai cosa devi fare, vero?”.

“Sì mamma, mi accompagni?”.

La denuncia mi ha reso libera.

 

(Liberamente ispirato a fatti realmente accaduti)

 

 

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