Errare humanum est, perseverare autem diabolicum “Il sogno di Emma”

vaso

L’indomani Emma si svegliò piena di energia, tutte le sue fantasie si erano dissolte nel sonno ed era pronta ad affrontare una nuova giornata. Fece colazione, salutò con un fugace bacio la madre, un abbraccio caloroso al papà e via, sempre di corsa per non perdere il tram, voleva essere puntuale. A dire il vero ci tentava sempre, questa volta ci riuscì e lasciò, la première, la signora Rosa, piacevolmente sorpresa. “Vedi che quando vuoi sai arrivare in orario?”, disse con un sorrisetto ironico, ma benevolo.

La mattinata trascorse come sempre, tra una prova d’abito e relative modifiche. Si avvicendarono clienti di ogni tipo, dalla classica “snob”, alla pettegola, ognuna raccontava le sue e anche quelle degli altri; ma Emma, quando lavorava, era molto concentrata e difficilmente si perdeva in chiacchiere. Si limitava ad annuire. Ma quella mattina si sorprese distratta, non voleva, ma ci pensava; e più non voleva e più ci pensava.

“Insomma ora basta, sei ridicola, ridicola e stupida!”. Boffonchiò queste parole tra sé e sé, ma lo stesso si levò nella sala quell’aria interrogativa, che lei tanto detestava. Resasi conto di aver destato attenzione si allontanò dalla stanza e si diresse al terrazzino che si affacciava su “Montenapoleone”, respirò profondamente e si soffermò ad osservare l’elegante via vai nella via. Donne e uomini distinti, bambini ben curati, accompagnati dalle tate, ragazzi in bicicletta e anche qualche auto: in pochi potevano permettersene una. La famosa pasticceria Cova, situata proprio di fronte alla sartoria, a quell’ora era affollata per la pausa caffè. I tavolini all’esterno erano tutti occupati, il profumo delle brioches appena sfornate, faceva venire l’acquolina in bocca anche a lei che non era golosa. Tutti si muovevano freneticamente e sembravano avere ben chiara la loro meta. Era una bella giornata di sole novembrino. Emma amava la bellezza. Pur con la consapevolezza di non appartenere a quel mondo, lei era lì, felice di esserci.

“Emma, ma dove diavolo sei finita, la signora Monti ti aspetta per la prova!”. Gridò la première. Emma si girò di scatto così sbadatamente che urtò il vaso di ciclamini rosso vermiglio appoggiato incautamente al parapetto. Cadde di sotto. “No no no no no! Cosa ho combinato!”, disse in un attacco di nervosismo. Sentì il tonfo poi un urlo provenire da sotto, si sporse per guardare e ciò che vide la lasciò ancora una volta ammutolita. Tutto quel trambusto richiamò la signora Rosa, le sue colleghe e persino le piccinine. Un passante era stato appena colpito dal vaso, un passante, ma non uno a caso.

“Non è possibile! Ancora Lui?”, trasalì Emma. Cercò di abbassarsi per nascondersi dietro la balaustra di pietra, ma fu inutile, tutti gli sguardi  e i nasi all’insù erano puntati verso quel balcone. Si fece coraggio e decise di scendere, anche per verificare la gravità della situazione. Si fece accompagnare dalla signora Rosa, sicura che, malgrado tutto,l’avrebbe aiutata e difesa.

Quando uscì dal portone, Emma lo vide e lui vide lei. Luigi, il barista, gli aveva messo un sacchetto di ghiaccio sulla testa. Era tutto drammaticamente buffo. Il vaso in frantumi, la spetalata di ciclamini sul marciapiede e il loro continuo scontrarsi.

Vi aspetto al prossimo capitolo!

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