L’amore invecchiato

Lei camminava trascinandosi dietro la fatica del tempo, concentrata sui passi lenti e incerti. La pelle era un lenzuolo adagiato sulle ossa. Il sole del pomeriggio le scaldava la testa e goccioline di sudore le si erano allineate sulle sopracciglia. Si fermò, estrasse dalla tasca un fazzoletto immacolato che lei stessa aveva ricamato e si asciugò la fronte. Tolse gli occhiali e, maneggiandoli con cura, li pulì.

Lui camminava curvo, composto nella sua camicia bianca inamidata e la sorreggeva per un braccio. «Andiamo Maria, la nostra panchina è libera». La esortò cingendole la vita sottile.

I due ripresero a percorrere quel breve tratto che li separava dalla loro meta consapevoli che, una volta raggiunta, li attendeva una decisione già troppe volte rimandata. Erano usciti di casa tenendosi per mano, come avevano sempre fatto per sessant’anni. Si erano conosciuti per via delle madri che erano amiche d’infanzia e così lo erano stati anche loro e poi si erano innamorati e non era stata una sorpresa, per chi li conosceva, era cosa scontata: Maria e Giuseppe insieme, sempre e per sempre. Tante cose erano accadute: il mondo era andato avanti, i figli erano cresciuti e si erano allontanati, erano invecchiati, anche il loro amore era invecchiato, eppure, a dispetto della malattia, aveva l’audacia di tenerli in vita stretti uno all’altra. Seduti sull’ultima panchina del molo, abbracciati, stavano in silenzio, ognuno con i propri pensieri, pensieri tumultuosi più rumorosi delle onde che si infrangevano sugli scogli. La brezza scompigliava le chiome bianche e materna lambiva i loro visi; gli sguardi rivolti al mare al quale avevano confidato i loro segreti e affidato le preghiere affinché la corrente le portasse a destinazione. Il mare non li aveva mai traditi e, quel giorno, avevano ancora bisogno della sua complicità per restare insieme, insieme per sempre.

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