La ragnatela

Siamo sedute sul sedile posteriore del taxi.

Tu, con le labbra tese e gli occhi spaesati, osservi le gocce di pioggia che scivolano sul vetro e con l’indice della mano sinistra tenti di deviarne il percorso. Sussulti a ogni rumore per poi tornare composta e silenziosa.

Le mie parole restano solo pensieri. I sensi di colpa mi strozzano la voce e la frustrazione prende il sopravvento e tiene in ostaggio ogni muscolo.

Tu, una madre complicata.

Ti ho odiata e amata senza vie di mezzo. Il nostro legame era forte e fragile come una ragnatela. Tu il ragno e io l’insetto imprigionato.

Poi è arrivata la malattia che ha spazzato via tutti i ricordi e sbiadito le emozioni e sei passata da orizzonti vasti a orbite vincolanti che ti tengono intrappolata in un silenzio senza varco e con la mente azzerata. Ancora una volta mi ritrovo ancorata a te senza possibilità di scampo.

Giunte a destinazione, l’auto si ferma, mi guardi e accenni un sorriso che mi arriva come una scudisciata al petto. Ti fidi di me e io mi sento Giuda. Con una mano trascino il trolley che ti ho preparato e disfatto non so quante volte, e con l’altra ti tengo a braccetto mentre, a piccoli passi, ci avviamo verso la tua nuova casa. Un breve tratto di strada che mi sembra interminabile. Ha smesso di piovere e un timido sole si fa breccia tra le nubi. Ma niente può sciogliere il gelo che ho dentro, mentre tu, a testa bassa, ti lasci condurre.

All’accettazione ci accoglie la capo sala, è gentile e ti fa sedere sulla sedia a rotelle. Percorriamo il lungo corridoio tirato a lucido dove subito mi assale prepotente l’effluvio di disinfettante che a malapena camuffa l’olezzo di feci e medicinali. La tua camera si affaccia sul giardino, il letto si trova accanto alla finestra, so che avresti voluto così. Cerco i tuoi occhi ma tu mi sfuggi.

Le parole mancate, i miei risentimenti, i tuoi atteggiamenti, ci hanno allontanate e quel tempo perso è un peso che ormai devo portare da sola.

Vorrei scappare via e invece disfo la valigia, metto nei cassetti tutte le tue cose fresche di bucato e cellofanate una a una e appendo gli abiti nell’armadio. Quando alzo lo sguardo ti vedo seduta sul materasso: le gambe penzoloni, le braccia, cordolate di vene, appoggiate in grembo e le dita intrecciate. Mormori qualcosa di incomprensibile.

Vorrei entrare nella tua testa e farmi largo tra i pensieri per farne prevalere uno su tutti: vorrei, ma non ti lascio.

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